“Fuggite, sciocchi!” Considerazioni politiche dal Lager Neoliberale
Questi miei appunti sono stati postati nel forum interno di ITALEXIT a gennaio 2023. Partito che ha il merito di avere nel nome la condizione essenziale per avere un futuro decente, e che apprezza MMT.
Indice tematico
- contesto giuridico-istituzionale e agibilità politica
- ritrovare la percezione del pericolo: può solo peggiorare, attendere non è una buona idea
- economia, la
distruzione creativa
cretina
continua
- il lavoro, da risorsa a maledizione. Non eleva, avvelena.
- superare il mito del superamento del Capitalismo. Siamo già oltre e non è un bel posto
- MMT come teoria economica di supporto per la transizione e il dopo
L’IMPORTANZA DELLE ISTITUZIONI
Cerchiamo di capire meglio il contesto economico, sociale, politico e soprattutto giuridico-istituzionale. Le istituzioni “in-formano” economia società e politica, e dunque la forma è contenuto. Dietro la formazione delle istituzioni ci sono, ovviamente, specifici gruppi d’interesse che realizzano quei cambiamenti istituzionali. Questi ultimi, in fatti, più che dalla politica generalmente intesa (parlamento, governo) dipendono dai rapporti di forza interni – sia propri, sia eterodiretti (che rispondono cioè agli interessi di paesi stranieri, lobby di potere economico straniere, che agiscono per produrre eventi e decisioni favorevoli) - dentro uno Stato, un paese o un’area geopolitica. Talvolta riescono ad utilizzare direttamente gli apparati dello Stato, diventando veri e propri governi ombra, al riparo dai risultati delle votazioni “democratiche”, e sono capaci di manovrare facilmente chi crede di avere potere solo perché è stato eletto per 5 anni in Parlamento, e poi non fa l’unica cosa sensata da fare: mandare tutti a casa, cioè effettuare il ricambio del personale interno, interrompere le consulenze/collaborazioni esterne, licenziare i dirigenti, i burocrati più influenti dei ministeri e delle principali istituzioni dello Stato (Banca d’Italia in primis, e chi si “perde” i fascicoli d’inchiesta).
E’ dimostrata in modo incontrovertibile la continuità dello Stato Fascista nello Stato Repubblicano tramite il ministero dell’interno, i vertici delle forze armate e di polizia, i servizi segreti, Gladio, Cia, Massoneria e Mafia (Davide Conti "Tutti gli Uomini di Mussolini", Franco Fracassi "Italy Project", ma anche Carlo Palermo, Report, etc...). Questo è stato voluto dal governo USA, per assicurarsi uomini chiave di sicura fede anti-comunista. I misteri d’Italia sono misteriosi solo per l’opinione pubblica. La sinistra ha passato anni a cercare e denunciare i fascisti dove non c’erano, e non li ha denunciati dove invece c’erano e ci sono ancora.
Dunque, le istituzioni sono “contenuto” e questo è il motivo per cui da Maastricht in poi, e in modo inequivocabile dalla creazione dell’Eurozona, il nostro paese è radicalmente cambiato, dalle sue fondamenta. La Costituzione è stata subordinata alla legge Europea, e quindi è stata disattivata di fatto, avendo perso la supremazia nella gerarchia giuridica. Il Presidente della Repubblica ultimamente è più il garante degli accordi europei che del rispetto della Carta. Piangere e strapparsi i capelli per il mancato rispetto dei diritti costituzionali e non voler vedere da cosa dipende, l’adesione all’Unione Europea, è inutile.
E’ cambiata la politica, da repubblica parlamentare siamo passati ad una repubblica nelle mani dell’esecutivo, in quanto interfaccia diretta con le istituzioni europee che prendono le decisioni (Eurogruppo, Consiglio Europeo e Consiglio dell'Unione Europea). Noi ormai non ci scandalizziamo più che a legiferare sia il governo anziché il Parlamento, ma questo sarebbe contrario alla nostra forma istituzionale originaria, oltre che a essere pericoloso: la separazione dei poteri è fondamentale, legislativo ed esecutivo devono essere distinti. Ma ovviamente la Commissione Europea incarna totalmente questa anomalia e la replica negli stati aderenti, i governi nazionali non sono che le sue succursali, le sue antenne di ripetizione. Le riforme che si sono susseguite hanno stravolto il parlamento con la svolta maggioritaria, che ha di fatto eliminato quella pluralità di partiti che assicurava la partecipazione e la rappresentanza delle minoranze politiche e delle classi povere, aggravata dalla rimozione del finanziamento pubblico. E il titolo V ha depotenziato profondamente il ruolo dello Stato e aziendalizzato la Sanità Pubblica, facendone carne di porco per il mercato e il business della sanità privata.
E’ cambiato il tipo di economia – da economia mista con ampia partecipazione dello Stato e un welfare avanzato siamo passati ad una economia di mercato neoliberista. La spesa pubblica è stata limitata da regole assurde, l’intervento diretto dello Stato è stato vietato per fare spazio ai privati e al mercato, il patrimonio pubblico e le aziende di stato sono state svendute e privatizzate, sono iniziati i tagli a tutto, istruzione, sanità, pensioni. Il paese ha subito una pesante de-industrializzazione, dovuta anche al fatto che la manifattura era trainata dalle industrie di Stato, e dalla concorrenza cui ci sottopone il mercato unico con condizioni che non erano, non sono e non saranno mai alla pari. Il peso politico di Francia e Germania non viene in alcun modo controbilanciato dal nostro, che è inesistente. Volutamente inesistente. L'ex premier Conte si vanta di aver fatto valere l’interesse nazionale, perchè ha ottenuto un piano di aiuti per la pandemia, un piano di proporzioni ridicole rispetto alla necessità reale, con obiettivi inquinati da interessi privati (lo scandalo Pfizer-Von Der Leyen), e per di più con condizioni economiche che non sono quelle che ci ha venduto la propaganda: non erano gratuiti. Il budget europeo è a saldo zero, se non si capisce questo, non si capisce perché sia un progetto fallimentare. I soldi che entrano vanno presi in prestito dal mercato e poi vanno restituiti, ci sono stati percettori netti e stati contributori netti, ma il saldo è zero. Qualcuno deve perdere. La BCE non è prestatore di ultima istanza, compra titoli di Stato che non vengono cancellati dal bilancio nazionale, serve esclusivamente per contenere i tassi e lo spread, contro l’inflazione vediamo tutti come sia impotente. Altro di utile no lo fa e non può farlo per statuto. L’interesse nazionale Italiano non ha alfieri e neanche “fratelli”, anzi! Abbiamo correnti politiche che sono cordate interne degli interessi ora della Francia (ma quanti parlamentari con la Legion d'Honneur!) e ora della Germania (a favore del sistema produttivo a trazione tedesca, quello del Nord), o direttamente di quelli del padrone americano, la corrente Draghiana, a cui appartiene la fedelissima Meloni, che porta avanti una guerra disastrosa per l’economia del paese.
Essere vassalli dell’imperialismo altrui - non siamo del tutto colonie, sfruttiamo altri paesi, anche solo per la manodopera a basso costo dall’Africa e dall’Est Europa - ci ha portato a rinunciare allo sviluppo dell’industria domestica (molte aziende proprietarie delle manifatture sono straniere) per puntare tutto sul terziario avanzato, il turismo e l’export di nicchia, spesso in settori a basso valore aggiunto (il turismo e la ristorazione lo sono sicuramente). Non vengono più considerati settori primari come l’agricoltura per il consumo interno (molta colpa ce l’hanno i regolamenti europei, ma sembra ormai normale produrre eccellenze perché le mangino gli altri mentre noi mangiamo schifezze importate), l’industria pesante, le infrastrutture, l’energia. C’è il pilota automatico. Votiamo, ma non conta nulla.
Quando è salito al potere il blocco populista, non ha potuto fare altro che adeguarsi, in modo sempre più stringente, al binario voluto dalle istituzioni in cui siamo immersi, quelle europee, fatte di regolamenti e ricatti continui su tutto, grazie anche al fatto che, con la cessione della sovranità monetaria, hanno in mano il nostro portafogli. Per anni abbiamo finanziato altri paesi, essendo contributori netti, mentre la nostra economia crollava. Decidono quanto dobbiamo dare e su cosa e quanto possiamo spendere. Non importa quanto siano ridicoli gli obiettivi scelti dalla Commissione, o quanto mal posti: non abbiamo scelta. La farsa del PNNR, dove poche briciole ci costeranno moltissimo in termini di riforme capestro e in termini di quote da restituire, ma ancora i media favoleggiano di fiumi di soldi! Sono una miseria e andranno spesi male, da cani proprio, nel senso letterale. Ognuno può vedere nei propri comuni a che progetti sono destinati e quali sono i gruppi privati che se li intascano per fare opere di dubbio valore collettivo. Sempre gli stessi. La corruzione della prima Repubblica era nulla rispetto a quella che ci ha portato la seconda.
ITALEXIT
Questa premessa era indispensabile per capire che per ristrutturare l’economia su paradigmi alternativi e diversi, non ci vuole più Europa, come qualche demente ancora chiede, ma il recesso totale dall’Unione Europea (non solo Eurozona). E il problema più grosso che abbiamo non è la gestione dell’uscita, molto meno drammatica di come la dipingono, ma è il superamento del vincolo interno, quel blocco di potere intestino che ha voluto, e alla fine imposto, il vincolo esterno. Addirittura può capitare che venga utilizzato dalla classe politica a giustificazione di decisioni politiche impopolari (il famoso “ce lo chiede l’europa”) che vanno oltre l’effettiva camicia di forza europea.
Fra i politici che sostengono l’europeismo ci sono pure i passdaran delle autonomie regionali, convintissimi che l’Unione Europea sia il modo per ottenere una indipendenza progressiva (vedi macroregioni come Eusalp, tanto care allo zoccolo duro leghista). La mitologia politica che promette “sempre maggiore autonomia fiscale” all’interno di un’area economica, l’Eurozona, che ha possibilità di spesa e investimenti pubblici di gran lunga inferiore rispetto a quella di uno Stato nazionale con piena sovranità monetaria, e che decide gli obiettivi e i percorsi di sviluppo, è certamente fondata su grande ignoranza, o forse malafede.
Di sicuro alimenta le mangiatoie clientelari, grazie all’accoppiata Fondi Europei + trasferimenti Statali, unita alla cessione al privato di quote di economia pubblica sempre più consistenti. Mangiatoie che i governatori regionali hanno sfruttato per consolidare il proprio potere e quello del partito. Competenze regionali basilari quali la gestione della Sanità Pubblica, dei rifiuti, della salute pubblica (pensiamo solo al caso Pfas, che ormai è un allarme ONU), le opere realizzate in project financing, sono state infatti portate avanti con l’attenzione sui clientes più che sui bisogni dei cittadini. E in questa abilità ormai la Lega ha raggiunto il PD, forse lo sta superando (certamente è l’obiettivo di Giorgetti).
Una vera autonomia regionale può essere raggiunta solo all’interno di uno Stato sovrano, che abbia un ampio spazio di manovra fiscale.
QUALE ECONOMIA?
Non esiste un solo modo di gestire l’economia. L’Unione Europea è costruita sul modello neoliberista. Si sente questo termine in continuazione, ma non significa primato del mercato sullo Stato. Il mercato non è una forza autonoma, sebbene piaccia molto farlo credere. E’ un buon modo per nascondere la fonte vera del potere. Il mercato ha le funzioni, i limiti e le regole che gli vengono date.
Il mercato è una creatura della legge, viene in-formato dalle istituzioni. La commistione tra pubblico e privato cui assistiamo in ogni campo e luogo (università comprese), come l’utilizzo di società di consulenza quali McKinsey (e altre) per i progetti governativi, è necessaria e vera nei due versi, altrimenti non funziona. I privati inquinano e influenzano il pubblico, ma senza il pubblico non avrebbero modo di impattare in modo significativo economia e società. Quello che intendo è che non solo possono, ma devono. E in questa necessità c’è il potere a doppio taglio delle istituzioni pubbliche, di concedere o negare. Il settore privato, questo potere, non ce l’ha.
Quando crediamo che i grandi player del mercato tengano in pugno gli Stati, stiamo usando una prospettiva falsata per guardare la realtà. Le istituzioni, tecnicamente, possono limitare e sfoltire già domani le ricchezze eccessive e le posizioni di preminenza nel mercato. Il problema è nella volontà politica di produzione e di attuazione delle leggi, che abbiamo visto è spesso influenzata da gruppi d’interesse che agiscono in modo trasversale e fanno pressione sulle istituzioni stesse. Non dobbiamo però dimenticare che se è tecnicamente possibile, si può fare.
Il mercato non è onnipotente, onnipervasivo e onnipresente. Nemmeno nel neoliberismo.
Se abbiamo dato tutto questo spazio al mercato, non è perché se l’è preso, ma perché gli è stato concesso. In questa differenza c’è la dimensione dell’agibilità politica.
Che tipo di economia è quella lasciata a traino del mercato, affidata ai privati, che vengono sussidiati e detassati in modo sistematico, e sono sempre i principali destinatari dei finanziamenti europei?
E’ un’economia che non ottimizza l’uso delle forze produttive, tutt’altro. Questo perché è concentrata a massimizzare il profitto, tagliando i costi, generalmente il costo del lavoro, essendo l’innovazione di processo, in questo paese di “prenditori” più che imprenditori, pura utopia. E’ quindi un’economia con alti tassi di disoccupazione, spesso mascherata da lavoro saltuario e precario - i famosi lavoretti – a voucher, a rimborso o addirittura totalmente gratuito (chiamato “volontariato”, che nobilita).
La produzione industriale è in declino in settori strategici, si punta tutto su terziario e terziario avanzato, su start up, servizi, turismo, auto-imprenditorialità per campare, in genere in settori non specializzati o nuove professioni quali l’influencer, il blogger, lo youtuber, il coach, il consulente delle materie più disparate (...disperate!), dall’ikebana al mindfulness fino alla disciplina zen applicata al business, etcc… Il paradosso del nostro tempo è che se ci manca il pane, ci rivolgiamo al counselor per avere aiuto. Abbiamo interiorizzato la propaganda di regime, quella che per cui siamo noi ad essere sbagliati, non il sistema.
Abbiamo anche preso un po' troppo sul serio il proverbio sull’uomo affamato, quello in cui si dice che è meglio insegnare a pescare, piuttosto che dare il pesce. Soprattutto prendiamo troppo sul serio chi campa su questo e che sa perfettamente che nel lago non ci sono più pesci (posti di lavoro, possibilità di scelta). E’ il motivo per cui lui non pesca, ma insegna a te a farlo. E questo, ancora, non genera magicamente nuovi pesci nel lago. Qualcuno si salva, la massa affonda. Siamo punto e a capo. Immersi in una retorica motivazionale insopportabile e assediati da cose superflue, su non addirittura dannose per noi, la società o l’ambiente, che dobbiamo consumare, altrimenti l’economia va male. Ma che senso ha?
La caccia al reddito è una questione di sopravvivenza e le fonti di reddito, come la creazione di lavoro, non è in alcun modo programmata o gestita dallo Stato.
Credo che la frase più sciocca sentita pronunciare da un Presidente del Consiglio (per carità, il primo posto spetta sempre a Draghi sul green pass) sia quella in cui la Meloni, attaccando il reddito di cittadinanza, affermava che “il lavoro non lo crea lo Stato”. Funziona esattamente al contrario.
Il mercato non serve a produrre posti di lavoro, non è quello il suo fine, ma serve principalmente a produrre profitti. Il mercato distrugge posti di lavoro.
La distruzione a volte è creativa, più spesso è cretina.
Annientare la manifattura e il settore pubblico per finire ad ingrossare le fila di chi posta le foto delle pubenda su onlyfans per soldi, non è un esempio di progresso intelligente.
E’ lo Stato che controlla il mercato, è lo Stato che può intervenire a gamba tesa nell’economia (ricordate in pandemia i provvedimenti su attività essenziali e non essenziali?), che può imporre politiche sanitarie, è lo Stato che può controllare i prezzi delle utilities (energia, telecomunicazioni, servizi essenziali, benzina, di nuovo ricordiamo cosa è avvenuto durante il lock down), è lo Stato che impone il livello di pressione fiscale su ognuno di noi. Cioè, alla fine di tutto, è lo Stato che determina il costo della nostra vita.
Il nostro costo della vita è altissimo, e in continua salita. Non dimentichiamoci mai che il prezzo della vita da pagare con un reddito monetario, senza possibilità di forme di sussistenza di base (nei centri urbani, avere un orto e le galline è fuori discussione), è la misura esatta, al centesimo, del ricatto mortale che subiamo. O la borsa o la vita.
Il reddito che percepiamo deve essere sufficiente a mangiare (gdo), vestirsi (mercato retail), avere servizi essenziali (acqua, luce, gas, internet, che non è un lusso, dal momento che per interfacciarsi con la pubblica amministrazione devi avere lo spid e quindi smartphone app e internet), pagare un affitto o un mutuo per avere 4 muri e un tetto, pagare le tasse, comprare medicinali e cure mediche.
Bene, sono almeno €1000 al mese netti. Sopravvivenza minimale. Senza contare autovettura e relativa benzina + assicurazione + bollo e le rate della finanziaria per pagarla, perché allora ne servono di più. E quindi vivere in aree prive di infrastrutture e mezzi pubblici ha costi ancora più elevati. Se hai figli, serve il doppio.
Ci stupiamo che la gente cerchi di prendere il reddito di cittadinanza per poter lavorare in nero?
Ma chi può vivere da solo, senza aiuti familiari, o peggio con qualcuno a carico, con €500-750 al mese? E questo vale sia per il reddito di cittadinanza che per un qualsiasi salario. I conti devono tornare e con queste cifre è impossibile, in qualche modo devi arrotondare.
Sussidi di povertà e lavoro nero sono le due facce della stessa medaglia. E sono la causa per la quale dalla povertà non si riesce ad uscire facilmente, una volta finiti dentro. E’ una condizione di estremo bisogno molto vulnerabile al ricatto, una gabbia, uno stigma di indegnità sociale e colpa, una miseria che debilita fisicamente e psichicamente.
Questo è il motivo per cui è sicuramente più saggio puntare sul Lavoro di Cittadinanza, che impiega le persone in attività utili per la comunità, con un salario superiore al reddito di cittadinanza, ridà dignità sociale e apre la gabbia ad eventuali opportunità, senza ricatti.
Gli imprenditori che si sono scagliati contro il Reddito sono stati i primi ad avvantaggiarsene, per poter pagare servizi al nero con tariffe da fame “tanto poi prendi il reddito”. Che ipocriti. Sono soprattutto quelli che appartengono alla categoria di imprese con marginalità ridotta, se non minima. Settori saturi di offerta, con prodotti a basso valore aggiunto – come la ristorazione o il commercio al dettaglio – che hanno costi di esercizio sempre più elevati, una sostenibilità d’impresa ormai minata alla base dalle reali condizioni del mercato dovute alla tipo di indirizzo economico, alla concorrenza di player inarrivabili per possibilità finanziarie e alla mancanza di domanda forte (cioè capacità di spesa sostenuta da occupazione diffusa e a salari elevati), oltre che alle scelte criminali di politica estera! Questi sono tutti fattori che rifiutano di vedere come causa, ma vedono sempre e solo come effetto. Neanche se ci sbattono il muso lo ammettono. Vanno a votarsi a Sant’Antonio (è un fatto vero) e insistono ad agire sull’unica leva rimasta: il costo del lavoro. Ma certe attività non sono più sostenibili nemmeno a costo manodopera zero. Mangiano risparmi e fanno buchi di bilancio, mettendo a rischio gli imprenditori stessi e le loro famiglie. Ovviamente i politici cavalcano il loro malcontento per prendere voti, dando loro ragione – si, è tutta colpa del reddito di cittadinanza e dei giovani che non hanno voglia di lavorare! - salvo poi fregarsene quando falliscono.
E lo dico con grande rammarico. Un patrimonio di botteghe e attività, di passione e dedizione totale, che viene triturato dalle catene multinazionali, dai Bocconiani-faine, che hanno la start up finanziata dagli amici di papà (sanno presentare un business plan agli investitori e conoscono i meccanismi del mercato finanziario, vedi il caso Zanetti – Pokè House). Comunque è preferibile che i Bocconiani aprano ristoranti, piuttosto che facciano i consulenti per il governo.
SALVIAMO LA LIBERTA’ D’IMPRESA
Il sistema neo-liberista e l’economia di mercato altamente competitiva sono la condanna a morte della libertà d’impresa. Se ancora i nostri piccoli imprenditori non l’hanno capito, è perché hanno la testa dura e purtroppo, se la romperanno sul muro.
Se vogliamo garantire questo principio cardine dell’articolo 41 della nostra Costituzione, cioè la possibilità per chiunque di mettersi in proprio con un capitale minimo e riuscire a mantenere la propria famiglia in modo dignitoso, serve l’intervento dello Stato non a favore dei grandi capitali e della finanza, ma a favore dei cittadini. Come?
Lo Stato deve impedire un eccessiva concentrazione di capitale, finanziarizzazione e cartolarizzazione, lo sviluppo di catene multinazionali tramite il controllo del mercato immobiliare e dello sviluppo urbanistico. L’Urbanistica è un settore chiave, la parte più consistente dell’economia finanziaria parte dai beni immobili, e gli asset aumentano di valore grazie agli interventi urbanistici (giù le mani dalle nostre città e territori – vedere cosa hanno combinato le leggi europee con i terreni da pascolo, oltre ai soliti scandali nei comuni e città metropolitane). Deve salvaguardare il mercato interno dalla concorrenza estera, aumentando tassazione e ponendo in essere leggi ad hoc (ribadisco, bisogna essere fuori dalla UE). Sembrerà banale, ma in alcuni settori si può arginare la concorrenza imponendo a chiunque voglia lavorare in Italia l’apertura di una filiale qui ed una posizione fiscale nel nostro paese (cioè deve pagare le tasse qui, non in Romania o Lussemburgo).
Serve il sostegno alla domanda aggregata, alla domanda interna, non dal lato dell’offerta, serve un settore pubblico attivo e sufficientemente esteso da essere la base su cui far prosperare l’economia privata (che da sola non si regge).
Lo Stato non deve in alcun modo sussidiare il privato affidandogli settori strategici (sanità, infrastrutture, energia, telecomunicazioni, industria strategica, ricerca, difesa) che sono per loro natura “pubblici”, soprattutto non deve finanziare la parte in perdita e lasciare i profitti alle società private di capitale come fa ora: questa è spesa pubblica improduttiva, spesa in deficit e debito pubblico di pessima qualità. Un fardello sulle generazioni future, perché viene utilizzata per smantellare i servizi, anziché mantenerli e migliorarli.
Serve un sistema di gestione degli esercizi pubblici, migliore rispetto al sistema delle licenze, ma ci deve essere una pianificazione! Non è possibile far aprire 10 ristoranti in 50 metri quadri cittadini, o aprire un negozio di abbigliamento dove mancano alimentari e farmacia. Questa gente è condannata a fallire. Serve regolamentazione e coordinamento con il comune, per la mobilità, i parcheggi e l’arredo urbano che agevoli le attività commerciali. Un esempio di limitazione sono le concessioni balneari, che hanno garantito un reddito a intere famiglie in aree a industria zero, e che andavano riformate, piuttosto che cancellate. Ovviamente il mercato dei grandi capitali europei vuole papparsi le nostre spiagge. Con il plauso della gente, che ha subito talvolta abusi e servizi scarsi, e il legislatore invece che intervenire su quelli, ha lasciato deteriorare la situazione.
Con qualche regola in più che permette il ripristino della vera libertà d’impresa - adesso è libertà di fallire - e il supporto fattivo dello Stato, il tessuto commerciale potrebbe ripartire alla grande, e dare un reddito certo agli imprenditori e ai loro collaboratori. Ah, i collaboratori! Dal regno delle possibilità torniamo a quello della realtà, e alle sue leggende.
MANCA VERAMENTE LA MANODOPERA?
In alcuni settori è pura propaganda prezzolata, come dimostrano gli studi in merito. E comunque basta alzare il salario, e subito si trovano più lavoratori disponibili.
Però per alcuni settori e mansioni, effettivamente, la mancanza è reale e drammatica. Operai specializzati, tecnici di produzione, figure professionali formate e capaci.
Più che incolpare il reddito, la mancanza cronica di alcune tipologie di lavoratori nelle imprese artigiane e manifatturiere, bisognerebbe farsi qualche domanda in più. Sono mansioni tipicamente faticose, con salari medio bassi, ma con cosa competono? Sulla scala di gradimento sociale, tra queste e lavoretti d’ufficio, nel digitale e nei social, o addirittura l’emigrazione in paesi con prospettive solide e non gassose come il nostro, cosa viene scelto?
Non si può passare il tempo a osannare l’auto-imprenditorialità, il coraggio di o-s-a-r-e, la cultura social, le facoltà universitarie per le professioni del futuro (tutto marketing e ingegneria gestionale), quanto è figo fare il trapper, quanto è sfigata la tuta da lavoro, e poi pensare che vengano a fare i camerieri o i lattonieri in fabbrica per 10 ore al giorno pagate come 6, giusto per sentirsi socialmente dei falliti e non avere prospettive economiche per costruirsi una vita. In fabbrica ci vanno operai rumeni e moldavi.
Che cultura del lavoro abbiamo insegnato ai nostri giovani? Formulazione ambigua, la spiego meglio. Che cultura del lavoro abbiamo dimostrato con le nostre vite squallide e le scelte socialmente ed economicamente suicide degli ultimi decenni? Dobbiamo deciderci:
O il lavoro è un valore per questa società, e allora lo paghiamo, lo gratifichiamo e lo esaltiamo secondo una scala basata sull'utilità sociale, cioè quanto contribuisce alla prosperità collettiva, con la produzione beni e servizi importanti, fondamentali e certamente vedremo che certi lavori smetteranno di essere "snobbati" o poco accreditati socialmente! E magari la piantiamo, una buona volta, di esaltare professioni e attività che non aggiungono molto alla società, o addirittura tolgono.
Oppure non lo è, e allora, cari imprenditori, la smettete di lamentarvi che non lo trovate, la smettete di dire che la gente non ha voglia di lavorare, che per certi lavori non si trovano persone. Sono impieghi che nei media, nelle scuole, nella politica vengono svalutati sistematicamente, perché i vincenti della narrazione moderna sono sempre altri. Ma soprattutto, se il valore che date al lavoro che state offrendo è sempre minimo, al ribasso, al limite dello sfruttamento, in cambio avrete un impegno al ribasso. A paga di merda, lavoro di merda. Abbiamo il valore che diamo alle cose.
Il VALORE DEL LAVORO.
VALORE ECONOMICO, VALORE DI MERCATO E VALORE SOCIALE.
Mi sembra ovvio che il lavoro, oggi, non è un valore in senso etico. E ha perso persino quell’unicità di mezzo per avere un reddito che lo rendeva un fondamento, ce ne sono altri. I sussidi, in primis, che sono un’aberrazione, ma vista la disfunzionalità della società in cui viviamo, chi riesce a campare di sussidi, assenteismo e malattie immaginarie, finte pensioni, non ha la mia stima, ma ha tutta la mia comprensione.
Poi ci sono nuovissime forme di auto-produzione e sussistenza economica, un fenomeno sottotraccia poi esploso con la pandemia, che vede professionisti, gente istruita, che molla tutto e va a vivere in comunità o da sola nella natura, dedicandosi ad attività agricolo-pastorali. Gente che lavora sodo, ma che trae senso, gioia e soddisfazione incommensurabili da quella fatica. Sono veri outsider. Escono dalla “civiltà”. Gente che ha tutta la mia stima.
In un mondo di pazzi furiosi, hanno smesso di provare a cambiarlo e almeno si sono salvati loro. Sono anime “oasi”, persone dove l’umanità ancora esiste e resiste. E sono quelli che ci aiuteranno a ricostruire tutto, quando la frenesia distruttiva avrà fatto tabula rasa dell’occidente.
L’abbraccio del dissennatore
Il paese reale, la gente vera, odia il lavoro, perché lavorare in questo paese fa sempre più schifo per vari e legittimi motivi. Salari da fame, mansioni demotivanti, usuranti, prive di senso o del giusto riconoscimento sociale se invece ne hanno, mancanza di riconoscimento dei meriti, nepotismo, dover fingere entusiasmo e di credere a tutte le cazzate motivazionali nonché alla neolingua del marketing, precarietà a 50 anni quando te ne mancano ancora 17 alla pensione, flessibilità e tutta la narrativa tossica sul sacrificio.
Alla capacità nobilitante del lavoro, all’etica lavorativa, alla fatica che rasserena la coscienza, crede solo la sinistra (alla destra non è mai fregato nulla). Sinistra fatta da politici o intellettuali che infatti non hanno mai lavorato, o non recentemente, e da sindacalisti confederali pagati che vanno per le fabbriche a motivare quelli che lavorano, per assicurare che il malcontento non raggiunga mai soglie pericolose. Vanno a fare i pompieri. Il lavoro era, forse, così. Potrebbe tornare essere così. Ma oggi è merda da ogni punto di vista: materiale, psicologico, spirituale, economico e sociale.
Lavorare in queste condizioni non consuma solamente corpo e mente, prosciuga l’anima. Come l’abbraccio di un dissennatore. Consiglio la lettura di Shit Jobs di David Graeber.
Nessuno ha voglia di combattere per il diritto a questo schifo e detesta chiunque ne parli!
Appellarsi ai lavoratori non ha prodotto lo straccio di un risultato politico negli ultimi anni. Difendere il lavoro non ha portato ad uno straccio di risultato. Semplicemente, questo lavoro non va difeso. E lo dico ancora più chiaramente, per difendere il principio, il principio lavoristico fondativo della nostra Costituzione e per come era inteso nella nostra Costituzione, non va difeso il lavoro contemporaneo, in tutte le sue forme detestabili.
Infatti sono in crisi perfino i sindacati di base, quelli dove devi impegnarti in prima persona, ma in genere qualcosa la ottieni davvero. La lotta funziona. Ma serve a stare meglio in un sistema che comunque la gente non tollera più, a livello conscio e inconscio, pensiamo alle depressioni, alla diffusione endemica di malattie e disturbi psicosomatici invalidanti. A quarant’anni siamo rottami. Pensare di arrivare oltre i sessanta, in queste condizioni, getta nella disperazione. Ho parlato con gente che si augurava un tumore. Capiamo il livello raggiunto?
E per rispondere alle provocazioni di certa sinistra sostenitrice della tesi della Fine del Lavoro, il lavoro non è “finito”, e puntare ad un reddito universale sarebbe una sconfitta, perché significa puntare sull’altro lato della stessa medaglia, sempre il mercato di grandi capitali con profitti finanziari da tassare (se ci riesci) e che per farli distruggono l’economia. Geni. Il lavoro non è finito e non finirà mai, diventerà diverso, ma sarà sempre richiesto un contributo, uno sforzo, una partecipazione. Siamo pieni di cose da fare che non vengono fatte, perché la forza lavoro è impegnata a fare lavori pessimi, senza senso o a non fare niente!
Ridare valore, senso e dignità al lavoro impone un cambio di paradigma, una rivoluzione culturale e politica copernicana, che può certamente avere grandi costi, ma è l’unica via per non morire annichiliti. E soprattutto, ha costi molto maggiori restare dentro al sistema. Sempre più alti, sempre più dolorosi e mostruosi. Non dobbiamo dimenticare che non solo ci hanno fatto morire come mosche con cure inadeguate in ospedale o per cure mancate a casa durante la pandemia, ma ci hanno costretto ad un esperimento farmacologico di massa che ha provocato danni fisici e persino la morte a chi non avrebbe avuto molto da temere dal virus stesso. Davvero possiamo aspettarci qualcosa di buono da criminali come questi? Che migliorino le nostre condizioni di vita e di lavoro? Perché dovrebbero, se ci fanno affari d’oro con il sistema?
Il valore del lavoro, oggi, è un valore di mercato.
Si viene impiegati per fare cose che sul mercato vengono richieste e i salari hanno importi che non seguono esattamente l’impegno, il numero di ore, l’apporto concreto, ma il valore che nella nostra società di mercato assume una mansione, un livello gerarchico, una figura professionale per il business.
Un rampante giovane manager, promotore di prodotti finanziari, giocati magari sui rendimenti attesi con pratiche di sciacallaggio sugli NPL, ad alto rischio per chi se li piglia, guadagna più di un chirurgo del settore pubblico, di un insegnante, di un termotecnico che ti ridà l’acqua calda in casa quando si rompe la caldaia e dell’ingegnere che progetta caldaie.
Si, l’ingegneria finanziaria fa alcune cose buone, ma vanno permesse solo quelle. Fino a quando non sarà regolamentata, sappiamo i danni che l’economia finanziaria fa, creando bolle speculative e crisi devastanti quando esplodono, che si portano via case, aziende, posti di lavoro. Sappiamo che causa aumenti di prezzi altrimenti inspiegabili, e non solo nel settore immobiliare, pensiamo allo scandalo degli aumenti nelle commodities (tra cui le derrate alimentari) che hanno portato nel 2008 ad una carestia drammatica. Sappiamo che drenano investimenti dall’economia reale, perché guadagnare certe somme con la manifattura è molto più complesso e laborioso, la finanza permette profitti favolosi. L’economia finanziari è fuffa al cubo. La cosa straordinaria è che chi crea denaro dal denaro, ha il coraggio di dire che quello che crea lo Stato non ha valore. Ma ce l’ha se lo Stato lo chiede in prestito a chi crea denaro dal mercato del denaro. Siete meravigliosi.
La moneta è credito, è fiducia. In alcuni periodi storici si è preferito ancorarne il valore all’oro, ma è scomodo e mette vincoli alla spesa che portano a disastri economici, per cui si è tornati sempre all’origine. Che sia di metallo, che sia di legno, che sia un foglietto di carta, il suo valore è nel fatto che estingue il debito con lo Stato. La moneta non nasce dal mercato, ma prima di esso. Qui un bel video di Andrea Terzi
E’ vero che la moneta è connessa alle relazioni sociali di produzione, ma vorrei evitare il solito vocabolario del repertorio marxista, perché il problema ormai non è più il solo superamento del capitalismo, va superata tutta un’impostazione materialista della società e dell’uomo, l’approccio economico orientato alla produzione, e la valorizzazione sociale del solo tempo di lavoro o di consumo nella vita umana, per cui anche il divertimento è “fare” cose connesse al mercato (shopping, mangiare cibo cucinato da altri, turismo organizzato).
“La pubblicità ci fa inseguire le macchine e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cavolate che non ci servono. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene.” Fight Club.
Se per economia intendiamo la capacità di organizzazione le risorse e la forza lavoro per realizzare opere, beni e servizi che sono essenziali alla vita umana e importanti per il progresso sociale, tecnologico e culturale, allora sono vent’anni che il ministero dell’economia non fa il suo lavoro.
La scusa è che mancano i soldi. In parte è vero, perché l’Unione Europa e in particolare le regole dell’Eurozona, limitano i bilanci pubblici. La spesa pubblica non è tutta uguale, può essere fatta bene e può essere fatta male, ma sappiamo che l’obiettivo finale del taglio alla spesa pubblica era quello di impadronirsi di fette di economia da cui il privato era escluso, e di costringere lo Stato a spendere, moltissimo, a vantaggio dei privati. Assistiamo infatti ad un fenomeno inaspettato, paradossale, per cui miliardi dello Stato vengono investiti in sussidi al privato, detassazioni che aumentano la diseguaglianza anche tra imprese e settori, bonus che aumentano quella tra cittadini sulla base di requisiti molto discutibili, incentivi, trasferimenti, rimborsi, etc.. cioè esattamente il peggior modo di utilizzare la leva pubblica nell’economia.
Va detto che l’unico incentivo che sia stato pensato originariamente in modo intelligente, il superbonus 110%, che avviava una vera e propria creazione di moneta fiscale e dava impulso ad un circolo virtuoso di creazione di lavoro, ammodernamento tecnologico del patrimonio immobiliare popolare (i condomini) abbattendo i costi energetici, è stato poi lentamente modificato e trasformato in una trappola per topi, in cui sono state sterminate le imprese artigiane sopravvissute alla crisi precedente 2011-2014. Inoltre gli unici ad averne davvero usufruito, sono i soggetti che all’inizio erano stati esclusi, cioè le villette monofamiliari. Il vastissimo parco immobiliare dei condomini popolari degli anni ‘50, ‘60,’70 e’80 è rimasto al palo. Difficile non scorgere la manina dei colossi immobiliari internazionali, che stanno organizzando la più grande acquisizione di proprietà immobiliari della storia al prezzo di un tozzo di pane e in aree dal valore incommensurabile, essendo in Italia, il paese più bello del mondo, e generalmente nelle primissime periferie di città importanti. Tutto grazie ai provvedimenti legislativi “green” per cui le case con una certificazione energetica al di sotto di una certa classe, non potranno più essere vendute! Le cose apparentemente senza senso, guardandole da vicino ne assumono uno, spesso talmente spaventoso che preferiamo non vederlo.
Se ci si sofferma un attimo a riflettere, si comprende perfettamente che il valore di mercato, è ormai totalmente sganciato dal valore anche prettamente “economico” e dal valore “sociale”.
Il mercato spinge sulla produzione e sul consumo parossistico di ciò che viene prodotto.
Produciamo molto, troppo. La produttività reale è altissima, la tecnologia l’ha aumentata in modo esponenziale, ma gli stipendi non sono aumentati, né la disponibilità di tempo libero. Abbiamo una vera e propria sovrapproduzione di beni e servizi, sfortunatamente non essenziali. Alcuni moderatamente utili, altri fondamentalmente inutili se non futili, altri ancora entrano nella perniciosa categoria dei beni e servizi dannosi, che danneggiano cioè l’economia stessa (settore finanziario speculativo), l’ambiente, la società, gli equilibri geopolitici e la democrazia, che arrivano a minare la vita umana stessa con prodotti nocivi alla salute spacciati per meraviglie della scienza che in realtà sono solo meravigliose opportunità commerciali (alimenti spazzatura, additivi, medicinali e vaccini).
Le risorse, materie prime, energia, forza lavoro, non sono infinite, anzi, sono scarse, pertanto utilizzarle per fare robaccia è folle.
I beni essenziali sono spesso prodotti all’estero (compresi i prodotti alimentari) perché noi abbiamo puntato sulla commercializzazione, e questo è un vulnus che ci ha danneggiato e ci danneggerà ancora in futuro.
I servizi essenziali sono forniti in modalità demenziali, cioè poco o non equamente fruibili (vedi sanità e assistenza), oppure di scarsa qualità e costi alti, comunque su tutti si percepisce che non c’è pianificazione, che si va a braccio, quando invece andrebbero programmati e gestiti con la massima cura.
I servizi utili diventano insostenibili per la concorrenza (tipo 50 bar in un kilometro quadrato), sempre perché il mercato si dovrebbe autoregolamentare ma alla fine non accade mai o accade facendo vittime che una gestione più attenta del territorio e degli spazi commerciali avrebbe risparmiato.
Ecco, una società che utilizza risorse scarse e forza lavoro per produrre beni, servizi, infrastrutture scarsamente utili o perfino dannosi, è una società altamente disfunzionale e pericolosa. Per sé stessa e per gli altri.
Il fine del lavoro, non è solo avere un reddito, ma la produzione di beni e servizi importanti. In pratica, a livello sociale ed economico, il vero reddito è il prodotto del lavoro stesso e la moneta è il mezzo per mobilitare la forza lavoro. Ed era questo lo scopo della moneta alla sua invenzione e deve tornare ad essere solo questo.
Se davvero desideriamo uscire da un sistema in cui lo scopo dello sforzo economico e produttivo è il profitto monetario e a decidere l’indirizzo economico è il mercato, allora dobbiamo porci in una prospettiva nuova e decidere COSA, COME e PERCHE’ produrre, e come distribuire socialmente il lavoro e il suo prodotto, sia che questi processi coinvolgano il mercato oppure no (W.M. Dugger, 1966, From market allocation to social provisioning).
Stuart Chase nel libro “ A New Deal” del 1932 scriveva “il potere d’acquisto illimitato per una quantità infinita di sciocchezze e una valuta gestita in modo da sottoscrivere le richieste dei creditori in perpetuo, renderà solo peggiore l’esplosione finale. La terza via, se questa è davvero una via di sinistra, deve portare ad un territorio filosofico completamente nuovo, dove l’attività economica cessa di essere un gioco e lo stimolatore dell’ego, e diventa una cosa seria, che la comunità deve poter controllare in sua difesa. Le abitudini lavorative della popolazione non richiedono una grande cambiamento, è l’atteggiamento che deve cambiare completamente”.
IL MITO DELLA PRODUZIONE
Le attività e le relazioni umane sono riconducibili a due macrosettori, quello della PRODUZIONE e quello della RIPRODUZIONE. Quest’ultima va intesa nella sua accezione più larga possibile, che inizia con la generazione di nuovi esseri umani – funzione fondamentale per la sopravvivenza della specie – ma include anche il prendersi cura della vita in genere, fisica e psicologica, la guarigione e la riabilitazione, l'educazione, la nutrizione, nonché la cura del pianeta e dell’ecosistema. Il riconoscimento dell’accudimento come bisogno imprescindibile della natura umana, in tutte le sue forme, private e pubbliche.
L’analisi da cui partire per costruire un paradigma nuovo, deve tenere in considerazione questo aspetto e operare una completa riclassificazione.
Oggi il focus economico e sociale è rivolto principalmente alla produzione, in modo esasperato e, francamente, esasperante. Ed è tipico del capitalismo anche nella sua accezione finanziaria, intesa come continua “produzione di profitti”.
Il settore della riproduzione/conservazione è visto addirittura come antieconomico, quando invece è il fine ultimo dell'economia, intesa più correttamente come la gestione delle risorse e il coordinamento delle attività umane, comprese le forze produttive, per la sopravvivenza e il benessere della società. Pensiamo ai tagli alla sanità, alla scuola, all’assistenza socio-sanitaria territoriale e al danno che hanno prodotto.
La concentrazione massiva delle risorse umane e materiali verso la sola produzione, tra l’altro orientata al profitto, ci ha riempito di attività il cui unico scopo è il proprio ritorno finanziario e che quindi producono senza sosta una quantità impressionante di cose da immettere nel mercato globale, che aumentano la massa di rifiuti e l'inquinamento, sfruttano forza lavoro in modo insensato, impiegano materie prime e risorse alimentari che sono limitate, causando uno spreco intollerabile.
Un sistema fondato sul consumo è chiaramente antagonista di uno fondato sulla conservazione, sulla riproduzione, sulla cura. Oggi si butta via tutto quello che si guasta o invecchia, cose e persone. Molti finiti al margine sono scarti di cui la società non si occupa più.
Non che la produzione non sia importante, ma la fase storica attuale ci impone di cambiare approccio, per il bene del pianeta, delle società umane, degli individui, dell’economia stessa. Abbiamo necessità di un diverso modo di produzione, che risponde a precise indicazioni sul come, sul cosa e sul perché si produce.
La produzione va posta in relazione diretta con la riproduzione, perché è il motivo finale per cui esiste. Non può esserne distaccata.
Il lavoro non è una merce, il lavoro è un bene, una risorsa collettiva. Va utilizzato per il benessere sociale e gli obiettivi d’interesse pubblico.
DOVE TROVIAMO I SOLDI?
Dobbiamo avere un approccio alla teoria economico diverso, alternativo. La Teoria della Moneta Moderna propone una visione politicamente molto interessante, perché libera dai vincoli la capacità del legislatore di agire per realizzare gli obiettivi sociali ed economici che si è prefisso. Cioè permette di mantenere le premesse elettorali. Come mai allora i politici non l’abbracciano, anzi, l’avversano ferocemente? Forse perché fanno promesse che non vogliono mantenere, che sono specchietti per le allodole mentre mentre gli obiettivi sono altri, e forse perché bisogna essere statisti sul serio, cioè politici capaci di pensare iniziative e provvedimenti complessi, politiche strutturali. E di questi ultimi non ce ne sono, sono tutti gran parolai a gettone.
L’IMPORTANZA DELLA SOVRANITA’ MONETARIA
I due principi cardine su cui è basata MMT sono:
- le nazioni che emettono una propria valuta, e non emettono debito in valuta estera e nemmeno fissano il cambio – cioè godono di piena sovranità monetaria - non hanno le costrizioni di bilancio tipiche di una famiglia o di un’impresa, ma hanno risorse finanziarie illimitate. Viene dunque a cadere la classica giustificazione “non ci sono i soldi”, i limiti, semmai, sono nelle risorse reali. Forza lavoro, livello tecnologico, risorse naturali.
- taxes drive money, le tasse guidano la moneta. La moneta è essenzialmente un credito fiscale, senza tasse, non esiste la moneta. La differenza con le altre teorie è il rigetto della credenza per cui le tasse finanziano la spesa pubblica quando è il contrario, è la spesa pubblica che finanzia le tasse. E il modo in cui si impongono le tasse, può guidare l’economia verso un preciso indirizzo economico. Fu il presidente della FED di New York (e consigliere di Roosevelt per il New Deal) Beardsley Ruml, che ancora nel 1946 scrisse un famoso rapporto dal titolo “Taxes for revenue are obsolete” – Le tasse come reddito sono obsolete. Già allora scriveva come fossero fondamentali per ridurre le disuguaglianze, punire comportamenti socialmente dannosi, limitare la domanda aggregata per evitare inflazione, ma assolutamente non per finanziare la spesa pubblica.
Dai due assunti iniziali derivano queste otto implicazioni:
1. Lo Stato spende prima di raccogliere le tasse.
2. Lo Stato non può finire la propria valuta.
3. Lo Stato può sempre fare tutti i pagamenti che sono espressi nella propria valuta
4. Lo Stato non ha bisogno di prendere in prestito la propria valuta per fare i pagamenti
5. Se lo Stato decide di emettere debito nella propria valuta, può scegliere il tasso d’interesse che pagherà su quel debito. Il tasso è deciso dalla Banca Centrale.
6. Lo Stato può sempre permettersi finanziariamente di comprare qualsiasi cosa sia prezzata nella propria valuta, perché può creare la moneta per acquistarla.
7. Lo Stato non ha mai bisogno di estinguere il proprio debito, non importa quanto alto sia.
8. Mentre non esiste alcun vincolo finanziario, la spesa dello Stato ha dei vincoli rispetto alle risorse reali, e se spende troppo, o male, in settori che hanno già raggiunto la piena capacità produttiva, può causare inflazione e influenzare il tasso di cambio.
Inflazione
La soluzione al rischio di inflazione non è la tassazione – cioè che per ogni spesa, vadano elevate tasse corrispondenti – ma una spesa finalizzata al raggiungimento di determinati risultati in alcuni settori specifici dell’economia e non alla domanda aggregata in generale, facendo molta attenzione a far crescere non solo la capacità produttiva, ma l’assorbimento di quell’output. Quello che puntualizza la MMT non è l’importanza della quantità di spesa pubblica, ma della qualità. La curva di Wray:
Il deficit può crescere in due modi, B e C.
B è quando in un paese diminuisce la crescita – e può essere per motivi esterni, rallentamento domanda globale e quindi caduta dell’export, o motivi interni, austerità imposta, e crollo della domanda domestica - e l’aumento della spesa in deficit è dovuta al minor gettito fiscale, agli stabilizzatori automatici, ai salvataggi bancari, agli stimoli all’economia sbagliati.
C è quando un paese utilizza la finanza funzionale e la spesa pubblica per controbilanciare gli squilibri esterni, aumentare l’occupazione, aprire nuovi mercati.
Lo strumento macroeconomico di stabilizzazione dell’economia e dei prezzi è il Piano di lavoro Garantito, irrinunciabile in economie aperte e globalizzate, perché stabilizza il valore della moneta.
Qui di seguito un breve brano di Randall Wray che contiene una citazione di Warren Mosler, preso dal libro “A great leap forward” Elsevier:
Solo MMT riconosce la fonte del livello dei prezzi.
La valuta stessa è un monopolio pubblico. I monopolisti sono necessariamente dei “fissatori di prezzi”.
Dunque:
Il livello dei prezzi è necessariamente una funzione dei prezzi pagati dagli agenti del governo quando spende, o delle garanzie richieste quando presta.
Siamo d'accordo con il mainstream sul fatto che è necessario un ancoraggio dei prezzi, altrimenti il perseguimento di una vera e piena occupazione probabilmente causerebbe, almeno per la maggior parte del tempo, inflazione. Quindi, anche noi vogliamo un'ancora di prezzo. Ci opponiamo all'affermazione (di solito implicita) di quasi tutti al di fuori del campo MMT secondo cui la disoccupazione è l'unica possibile ancora di prezzo. Altri economisti non hanno l'immaginazione per trovare un'ancora di prezzo alternativa per una valuta fiat.
A nostro avviso, ciò è sbagliato.
Ecco la risposta di Warren Mosler, in quello che nella sua semplicità è quasi un Haiku:
Si riduce a questo:
Con la "moneta di stato" c'è necessariamente, c'è sempre stata, ci sarà sempre, una politica delle scorte tampone. Chiamalo l'intuizione MMT se lo desideri. Quindi si tratta di "sceglierne uno"
1. Oro
2. Cambio
3. Disoccupazione
4. Occupazione/Piano di Lavoro Garantito/ Lavoro di Ultima Istanza
5. Grano
Qualunque cosa!
Scelgo occupazione/Piano di Lavoro Garantito
Poiché funziona meglio come stock cuscinetto in base a qualsiasi/tutti i criteri per una scorta tampone.
Quindi sì, è un'opzione.
Sei libero di scegliere uno degli altri.
Cos’è un piano di lavoro garantito?
Consiste nel dare un lavoro a tutti i disoccupati o sottoccupati che desiderano prenderlo – è su base volontaria, non è lavoro coatto – dove sono e come sono - pagando un salario minimo dignitoso (ci puoi vivere) che diventa il salario minimo effettivo. In questo modo si viene a creare una scorta di riserva di occupati, che contiene le spinte inflattive.
La MMT promette di garantire piena occupazione e stabilità dei prezzi. Oggi si promette la stabilità dei prezzi per mezzo della disoccupazione. La famosa curva di Philips, dice che all’avvicinarsi della piena occupazione, la spinta dei salari fa crescere l’inflazione e per questo è i governi devono mantenere una percentuale di popolazione senza lavoro e senza reddito, con tutto il carico di sofferenza che questo comporta. E comunque abbiamo visto che non funziona. In Eurozona l’inflazione è altissima, persino superiore all’Italia della Liretta, con condizioni generali di vita decisamente inferiori.
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