Intervento al convegno "Un nuovo programma per trasformare l'opposizione in alternativa" (luglio 2018)
Roma, Biblioteca della Camera dei Deputati
6 luglio 2018
Oscar Wilde scriveva “Il cinico è colui che sa il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna”
In una intervista di novembre scorso, Benoit Coerè, membro del Board della BCE, si è detto molto preoccupato per la crescita dell’attività di shadow banking che, dice, andrebbe regolamentata, e soprattutto del debito privato. Il rischio è che vada ad innescare una crisi finanziaria sul modello di quella del 2007, per far fronte alla quale gli stati membri non hanno sufficiente capacità di bilancio. L’imperativo è quindi diminuire la leva finanziaria. Coerè ammette di non sapere come.
Il problema è serio, perché un crash finanziario brucia miliardi in pochissime ore e ha un impatto rovinoso sull’economia reale, come pochi altri eventi. Eppure se ne discute poco e ancora con scarsa consapevolezza. E’ verosimile dunque che vengano implementati strumenti palliativo o che potrebbero perfino aggravare la situazione, dal momento che l’unico che potrebbe risolverla in Eurozona è vietato. Quale sarebbe? Ce lo dice Hyman Minsky nella sua ipotesi dell’instabilità finanziaria e in particolare nella teoria dell’investimento, in cui dimostra che la crescita trainata da investimenti pubblici è molto più stabile di quella trainata da investimenti privati. In particolare la spesa in deficit anticiclica ha la funzione di stabilizzare i profitti, contenendo gli eccessi in un boom e le perdite in un crollo. In un mondo finanziarizzato, il grado di intervento è legato al debito complessivo. Quindi, maggiore è la leva e più è rischiosa la situazione e maggiore è la necessità di un intervento pubblico. Ma a questo sono stati messi dei limiti, perché secondo qualche teoria economica, piuttosto discutibile e smentita dai fatti più volte – e meno male che l’economia è una scienza! – ex-ante non va bene, ex post è tollerata, perché tiene in piedi il sistema.
Lo Stato, lungi dall’essere superato o superabile, è così ridotto ad infermiere del capitale privato. Gli stabilizzatori automatici corrono e il debito pubblico aumenta. Sembra ci sia una straordinaria incomprensione del funzionamento dei sistemi economici. Come se il settore pubblico potesse esserne in qualche modo scisso. Ma è possibile o è una distopia? La moneta – anche l’euro - viene emessa e garantita da istituzioni pubbliche e dalle tasse di 340 milioni di cittadini. Non esiste moneta privata. E tuttavia vengono proposte riforme volte a tranciare questo nesso. La mancanza di un safe-asset, indispensabile al funzionamento del sistema finanziario, quale è sempre stato il titolo di Stato con garanzia della Banca Centrale, non può essere sostituito dall’ingegneria finanziaria. Anziché richiedere l’unica cosa sensata, che sarebbe appunto la garanzia di intervento della Banca Centrale Europea sul tasso massimo dei bond di ciascun stato membro, è stato sviluppato il progetto degli esbies, un prodotto finanziario derivato. A maggio scorso è stata presentata la proposta legislativa dalla Commissione Europea, che li chiama SBBS (sovereign bond-backed securities). Quando uscì la proposta degli Esbies nel 2016, Standard & Poors rilasciò dopo un anno, nell’aprile 2017, una relazione sul tipo di rating che avrebbero potuto avere, un misero BBB-, soprattutto si chiedeva perché gli investitori avrebbero dovuto preferirli ai normali titoli, il mercato di questi sintetici non sentiva il bisogno. Un flop annunciato? Qualcuno fa notare che il mercato potrebbe volerli in un caso: la fine del Quantative Easing.
Lo dico da anni, l’evoluzione dell’Unione è segnata da avanzamenti lungo linee di struttura chiare, si procede per shock successivi, per renderne l’accettazione inevitabile, ma non ci sono dubbi sul modello che si vuole raggiungere. Le riforme sono tutte in quella direzione.
La frase che descrive il modello finale con immediatezza cruda e inequivocabile l’ho trovata nell’ultima proposta franco-tedesca (pag. 5)
“I cittadini e le corporations della zona Euro devono poter tenere i loro risparmi in strumenti (finanziari) la cui rendita sia indipendente dalla disoccupazione o dal calo della produzione nei loro paesi"
Concetto confermato e ripreso da Mario Draghi nel suo discorso dell’11 maggio scorso, disponibile sul sito della BCE. L’ho tradotto
“Dove l’eurozona e gli US si differenziano maggiormente in termini di condivisione del rischio ex-ante è l’assicurarsi dagli shock attraverso i mercati finanziari. Questo è un concetto che comparve solo successivamente nella letteratura sulle Aree Valutarie Ottimali. Ma gioca un ruolo chiave nello stabilizzare le economie in una unione monetaria in due modi:
Il PRIMO è scindere consumo e reddito a livello locale, che è possibile per mezzo dei mercati di capitale integrati. Se il reddito da lavoro crolla durante una recessione, ma il settore privato detiene un portafoglio finanziario diversificato, le persone possono facilitare il proprio consumo con il ritorno finanziario che ricevono su titoli/assets in parti dell’unione che performano in modo migliore. Il SECONDO è scindere il capitale delle banche locali dal volume del credito accordato localmente, che è possibile per mezzo dell’integrazione dell’attività bancaria retail. Dal momento che le banche locali sono in genere pesantemente esposte nell’economia locale, un crollo nella loro area porterebbe a vaste perdite e ad un taglio del credito a tutti I settori. Ma se ci sono banche che operano oltre i propri confini, in tutte le parti dell’unione, possono controbilanciare le perdite subite in un’area colpita da recessione con i guadagni fatti in un’altra e possono continuare a fornire credito a debitori sani” Trovarne, in queste condizioni, aggiungo.
Poiché è evidente che gli unici interessi che vengono rappresentati sono quelli di chi ha beni finanziari e di un certo volume, la definizione stessa di “cittadino europeo” andrebbe rivista alla luce di queste affermazioni e chiunque abbia a cuore la democrazia, dovrebbe iniziare a opporre resistenza, la massima possibile.
Se non bastasse il disgusto per il cinismo, che ci ha fatto dare un prezzo alle nostre democrazie costituzionali per venderle al mercato senza capirne il valore incommensurabile, dovrebbe essere almeno un sussulto di lucidità a farci riprendere il controllo di un sistema che ha il pilota automatico impostato verso un precipizio. Si, il sistema non è sostenibile.
L’eurozona è stata concepita per essere un mercato finanziario efficiente e tuttavia nella costruzione di ogni sua parte – dall’eurosistema, all’unione bancaria, all’unione dei mercati di capitale - ignora principi fondamentali, che la rendono altamente instabile, vulnerabile, ma soprattutto, distruttiva.
Annienta posti di lavoro e abbatte i salari, da uno studio della BCE la percentuale vera di disoccupazione e sotto-occupazione è al 18%, demolisce il sistema bancario tradizionale (sano), dall’inizio della crisi al 2016 sono fallite 700 banche (la fonte è sempre la BCE), mentre favorisce la speculazione più pericolosa (quant finance) e la trasformazione dell’economia da mezzo di creazione e redistribuzione di ricchezza reale – infrastrutture, scuole, ospedali, welfare - a mezzo di estrazione di rendita. Di fatto stiamo assistendo ad un ulteriore evoluzione del capitalismo dei gestori finanziari ad un neo-feudalesimo di un’aristocrazia finanziaria con potere legislativo, di controllo e di ricatto su Stati un tempo indipendenti.
L’inversione di rotta non può essere procrastinata. So che molti credono sia ancora possibile riformare l’unione in senso democratico e sociale, proviamoci, ma diamo un termine preciso a questo tentativo e intanto prepariamo un piano B di sinistra da presentare agli elettori. Il termine di tempo, a mio avviso, è imprescindibile, per dimostrare serietà e responsabilità. Ogni anno che passa, ogni mese, ogni singolo giorno ci sono cittadini in condizioni di sofferenza grave, che non possono essere ignorati o trattati come danni collaterali nel perseguimento di un grande sogno.
Ritengo che la proposta dell’on. Fassina, di una coalizione delle sinistre europee per la domanda interna, per il ri-bilanciamento dei rapporti di forza capitale-lavoro, sia uno step indispensabile a riguadagnare un po’ di spazio negoziale e forza contrattuale. Senza i quali nessun piano A o B che sia, potrebbe avere esiti positivi per la classe lavoratrice Europea.
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