Wilderness, le nuove “enclosures”


Come l’aristocrazia tecnocratica si sta appropriando dei beni comuni


Dietro la vicenda dell'orsa JJ4 c’è una questione politica dirimente, che va chiarita in tutte le sue implicazioni profonde, a chi dimostra di non averla proprio capita.

I commenti superficiali e imbarazzanti letti in questi giorni (l’orso fa l’orso, è a casa sua, etc...), dimostrano come le zone di comfort intellettuale, e soprattutto ideologico, talvolta diventino paludi stagnanti. E perfino menti in genere argute, sollecitate da fatti apparentemente lontani dal proprio campo di analisi, inciampano maldestramente e pare non siano più capaci di riconoscerne la natura di “eventi sistemici”, cioè effetti di quella struttura che pure ben conoscono.

Il campanello di allarme sulla questione a me si era acceso ancora tempo fa, perché della pericolosità di orsi e lupi nella zona si parla da anni, ma invece di sparare sentenze come al tiro al piattello, ho cercato di approfondire. Devo ringraziare i miei amici Trentini, che mi hanno fatto conoscere i contributi di docenti universitari come Michele Corti e Geremia Gios, che spiegano compiutamente la vicenda e dalle cui analisi sono partita per arrivare ad alcune considerazioni personali.

Inquadriamo la situazione

La difesa dell’orso in Trentino fino agli anni ‘90 era in carico alla PAT (Provincia Autonoma di Trento) con la collaborazione di enti scientifici e associazioni animaliste, ed era principalmente volta alla salvaguardia degli ultimi esemplari rimasti e a favorirne la riproduzione. Una conservazione vera e propria, non la “conservazione attiva” del Life Ursus, termine orwelliano inventato per far passare un’azione arbitraria dell’uomo come “tutela ambientale”, cioè l’introduzione di orsi provenienti dalla Slovenia, una specie allogena, abituata ai carnai, più aggressiva di quella trentina, da trapiantare nel Parco Adamello Brenta.

Il cambio di approccio verso operazioni di “conservazione attiva” è stata pensato e guidato da associazioni animaliste che a livello europeo già a inzio anni ‘90 vagheggiavano di un ripopolamento delle Alpi con i grandi carnivori. Per esempio, un programma con questo proposito è stato presentato nel 1995 da una lobby emanazione del WWF: Large Carnivore Initiative in Europe.

La Commissione Europea ha accolto queste istanze – questo fa, raccogliere ed elaborare direttive sulla base delle proposte dei gruppi di interesse (i lobbisti, vedi qui) - iniziando ad emanare linee guida e finanziamenti (fondi Life) con il preciso intento di agevolare l’iniziativa generale e i singoli progetti. Da qui sono arrivati i soldi per realizzare il piano trentino.

E’ solo una questione di soldi? E’ uno dei fattori, ma non è l’unico e nemmeno il più importante. Soprattutto non è una spartizione di risorse una tantum.

Infatti nel fattore economico non bisogna fare l'errore di calcolare solo l'investimento iniziale. Quando si avviano dei progetti, vengono istituiti enti, dipartimenti e uffici che dovranno gestirli, e implica la creazione di incarichi stipendiati ad hoc, sia a livello internazionale che e a livello locale. E che vanno finanziati costantemente. Sono vere e proprie “mangiatoie”, lottizzate dai gruppi di interesse e serbatoio di voti per la politica, che riescono a tenere in scacco anche le amministrazioni pubbliche locali, perché hanno solidi agganci in tutti i piani della governance multilivello che l’Unione Europea ha istituito come nuovo metodo di governo della società (vedi qui). La governance assicura ampia partecipazione agli attori sociali e ai portatori d’interesse. Solo quelli organizzati, ovviamente. E sposta il centro decisionale fuori dalle istituzioni pubbliche, le uniche che garantiscono la legittimità democratica dei provvedimenti che i cittadini subiscono, e fonda le scelte su criteri di presunta oggettività tecnico-scientifica (non lo è mai, quella accreditata è parte del sistema di potere e funzionale a mantenerlo), togliendole così da ogni possibile dibattito pubblico. Ora, che ci sia questo deficit di democrazia nel metodo si sa da anni. Lo testimonia il fatto che chiunque sia eletto, qualsiasi programma abbia, non riesce a realizzarlo. La disaffezione dei cittadini al voto è una conseguenza razionale, non emotiva.

Quello che sfugge ai puri, quelli che addossano le colpe alla corruzione dei politici cattivi, che certo non mancano, è che anche i rappresentanti delle associazioni animaliste, quelli buoni, hanno incarichi retribuiti. Il volontariato è riservato agli ingenui idealisti. Ingenui e fanatici, purtroppo, come è emerso in alcuni post totalmente privi di rispetto della vittima e della sua famiglia. Le organizzazioni private, anche se no-profit, hanno una struttura da mantenere. E’ così anche per le associazioni di accoglienza dei migranti. Per cui chi lavora in queste associazioni, del tutto permeabili alla politica, vere e proprie sliding doors, le attività di promozione e la partecipazione a progetti finanziati, sono necessarie a mantenere stipendio e carriera. La militanza e il marketing non sono affatto disinteressati! Senza contare le donazioni che arrivano grazie alle campagne di sensibilizzazione. I post strappa-lacrime sono in realtà strappa-obolo, e partiti che pasturano voti tra gli iscritti a queste associazioni e/o hanno funzionari che ne fanno parte, sostengono politicamente tutto questo ignobile teatrino di buoni sentimenti molto ben pagati.

Non è difficile capire che il progetto Life Ursus fu considerato una “opportunità” da molti punti di vista. La sua gestione totalmente disfunzionale – il numero degli orsi non è stato contenuto come dovuto, e gli esemplari problematici non sono stati abbattuti - ha senso se vista dalla logica degli interessi in gioco e della capacità di attuarli, utilizzando qualsiasi mezzo, compresa la via giudiziaria e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Venire fuori da questo immenso pasticcio, che non comprende solo gli orsi, ma anche i lupi, è complicato perché coinvolge la legislazione Europea. A causa della famigerata Primacy (il primato della legge europea su quella nazionale, compresa quella di rango costituzionale), la tutela forzata dei grandi carnivori in aree che non sono nemmeno lontanamente lo stesso habitat di 100 anni fa (dal punto vista fisico ma anche climatico), è prevista da norme che siamo obbligati a recepire e implementare, con la classica raccomandazione di fare molta “comunicazione positiva” per farle accettare. Va detto che c’è modo e modo di recepirle, in Slovenia, per esempio, li possono abbattere e cacciare.

Gli ambienti naturali non possono reggere interventi decisi dall’uomo senza valutare a fondo tutte le implicazioni che comportano. Vale in tutti i sensi, anche per un traforo o un viadotto, non solo orsi e lupi, ovviamente. Per Life Ursus si è parlato di conservazione, ma di fatto è stata operata una distruzione. La forzatura operata nasconde una indicibile violenza. Nei fatti di questo si tratta, violenza ambientale mascherata da stucchevole dolcineria. 

La reintroduzione è stata compiuta in un habitat molto più antropizzato, abitato e curato, con un proprio ecosistema e una propria biodiversità di specie animali e vegetali. Fra i difensori della biodiversità, nessuno si è reso conto che per ricrearne una "chimerica" hanno promosso la distruzione di quella esistente? Il pascolo non è un semplice prato, per chi non lo sapesse. Il bosco non è bello in Trentino perché gli alberi hanno mantenuto il rigore asburgico e si ordinano da soli. Lupi e orsi uccidono mucche e pecore che hanno un'esistenza più sana e felice rispetto a quella degli allevamenti intensivi. Ma non vedo animalisti strapparsi i capelli per loro e per i pastori che li allevano con amore e rispetto.

Sarebbe stato meglio cercare di mantenere il buono esistente e migliorare quello, difendendo le Alpi dallo sfruttamento utilitaristico, limitando il turismo eccessivo (che da "risorsa" ci mette un attimo a diventare "danno"), il traffico di veicoli a motore con l'aumento di mezzi di trasporto pubblico e parcheggi scambiatori, l'edificazione selvaggia, le pratiche folli di consumo di suolo e riserve idriche per lo sci, etc...Tutte cose che però portano tanti bei soldini nelle tasche di alcuni. Non pensiamo che vada tutto ai cittadini Trentini, la campagna d’odio verso di loro è vergognosa. Nell'immobiliare e nel turismo organizzato ci sono società con sede altrove o addirittura all'estero, fondi finanziari. Colpevolizzare i Trentini, generalizzando, è proprio mancare il bersaglio.

Sono per l’abbattimento degli orsi che eccedono la quota gestibile? Non necessariamente, a me non piace che vengano uccisi degli animali per colpa di scelte sbagliate dell’uomo. Se si possono trasferire in ambienti selvatici, in siberia o in altre foreste, avanti, facciamolo e salviamoli. Però vorrei capire perché non si possono abbattere, anche se è previsto espressamente nel PACOBACE. Perché umanizzare gli orsi, mentre oggettiviamo suini, ovini, bovini e polli. Nell’opinione pubblica prevale un infantilismo isterico che spaventa. Tra l’altro, l’orso è un animale selvatico, sicuramente preferisce morire che vivere in gabbia. Andrebbe spiegato agli “animalisti” che ogni volta fanno ricorso al TAR.

La wilderness, per come è intesa nella cultura attuale, è una mitologia di mercato, un prodotto di consumo, un brand da vendere. Non è rispetto e amore per la Natura, madre di tutti noi, meravigliosa e terribile, potente e ancora misteriosa. Piuttosto è appropriazione di spazi e risorse naturali delle terre alte, sfruttando le sue forze ancestrali in modo sconsiderato, da apprendisti stregoni. Finirà malissimo.

La posta in palio

Se si va ad analizzare con attenzione il fenomeno, si vede come l'operazione orso-lupo comporti, di fatto, un lento e inesorabile esproprio degli spazi comuni nelle comunità montane e in particolare dei terreni rurali ai piccoli allevatori locali. A chi in montagna e di montagna ci vive.

Il combinato disposto di grandi carnivori iperprotetti, che non possono essere "contenuti" in alcun modo e quindi in espansione senza limite, e nuova PAC (Politica Agricola Comune), che ha permesso la finanziarizzazione delle quote pascolo (follia di cui pochi parlano, vedi qui), configura una nuova forma di enclosures, subdola ma efficacissima, a danno delle popolazioni rurali e di un modo di vivere fuori dalla logica di mercato. Viene tolta una delle pochissime vie di sussistenza originaria e alternativa rimaste alla subordinazione al sistema o all'emigrazione.

I piccoli allevatori non si arricchiscono, campano al limite della sopravvivenza. Se ai classici cani "paratori" per radunare e condurre il gregge devono aggiungere 6-10 cani da "guardianìa" antilupo per difenderlo, lavorano per mantenere loro, anziché la famiglia. Il numero non dipende solo da quello delle pecore, ma anche da quello dei lupi in circolazione! Sono cani che costano, non solo comprarli, ma mantenerli. Le pecore mangiano l'erba, i cani no.

Assistiamo al sorgere di una neo aristocrazia tecnocratica che, grazie all'uso spregiudicato di "scienza" (di parte) e potere economico, si appropria di territori che sono "bene comune", anche in aree culturali che hanno consuetudine secolare nel regolarli e difenderli.

La rendita è garantita dai fondi pubblici che finiscono negli enti e nelle associazioni, dalla speculazione finanziaria e immobiliare, dal turismo di lusso "protetto" (i poveracci che se li sbranino e cambino pure zona vacanze, che troppa gente li disturba), dalla manodopera ricattabile.

L'invito al ritorno alla terra del ministro in carica, suona ipocrita e meschino, dal momento che oggi, chi volesse sopravvivere di agricoltura, dovrebbe avere la terra o dei fondi iniziali per affittarla/comprarla, e una laurea in economia alla Bocconi per riuscire ad avere strategie di vendita, raccolta finanziamenti e pubblicità per farcela.

Nel film Le Otto Montagne c'è una grande verità: oggi si è costretti a competere con la grande distribuzione che ha costi ridotti all'osso, e se si è indebitati, le banche si mangiano l'attività. Solo con una grande coesione a livello locale, di comunità, orientata al sostegno reciproco più che alla competizione, si può creare un tessuto economico resistente alla fase attuale, molto meno dipendente dal turismo, soprattutto di lusso, che fa più danni delle cavallette (l'economia del lusso è insostenibile, lo dico da anni). Ma bisogna togliere il velo dalla narrativa di regime e vedere come agisce il sistema, nel settore pubblico, nel mercato, nelle istituzioni, nella politica e anche qui, in questo singolo caso di cronaca che solo apparentemente sembra non c'entrare nulla.

Il neoliberismo è neo-feudalesimo, aggravato da inquietanti caratteristiche antiumane, sempre più evidenti.

La prima forma di resistenza anti-sistema, in questi tempi bui, è sopravvivere, per coltivare la propria residuale umanità e riconquistare spazi franchi.

Residuale perché abbiamo subito vent’anni di bombardamento a tappeto sui valori etici e spirituali, sulla natura biologica e sociale dell’uomo, sulla capacità di leggere la realtà, sui concetti di responsabilità, operosità, solidarietà e cooperazione.

In questa fase storica la rivolta parte dalla ricostruzione di relazioni sociali comunitarie e rapporti di produzione locali, cioè economie fuori dalle logiche del mercato e del profitto ad ogni costo, basate sulla cooperazione, la solidarietà, la difesa compatta dei beni comuni e delle risorse locali.

Abbiamo visto che ci vuole un attimo a togliere il lavoro e il reddito, a bloccare un conto corrente, a impedire l’assistenza medica, a razionare fonti energetiche e alimentari. Durante quella che, per molti di noi, è stata “una traversata del deserto”, e mi riferisco al periodo della pandemia e del Green Pass, chi ci portava l’acqua, da mangiare, le medicine per sopravvivere, erano i vicini di casa, non quelli con cui abbiamo fatto i convegni politici su come ricostruire una “coscienza di classe”. E’ già tanto se ritroviamo la coscienza, e il coraggio di esprimere un po' di buon senso, che si nasconde per paura di un senso comune sempre più raccapricciante.

***

Guarda, i signori e i principi sono l’origine di ogni usura, di ogni ladrocinio e rapina; essi si appropriano di tutte le creature: dei pesci dell’acqua, degli uccelli dell’aria, degli alberi della terra. E poi fanno divulgare tra i poveri il comandamento di Dio: “Non rubare”. Ma questo non vale per loro. Riducono in miseria tutti gli uomini, pelano e scorticano contadini e artigiani e ogni essere vivente; e per costoro, alla più piccola mancanza, c’è la forca.

(Thomas Müntzer, Confutazione ben fondata, 1524)

 


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