Alcune considerazioni sulla questione femminile (2021)
Qualcuno dice che la lotta di classe disturba il sistema, la lotta tra i sessi no.
E’ un’affermazione ad effetto, da verificare con più attenzione.
Sono d'accordo che il femminismo di seconda generazione sia andato fuori strada rispetto all’obiettivo, e presenti una forma di emancipazione femminile distorta e competitiva, felicemente all’interno del sistema capitalistico e per il raggiungimento di un successo sociale ed economico secondo valori di mercato. Tuttavia mi lasciano perplessa le posizioni che definiscono discriminatorio evidenziare le differenze tra donne e uomini, quando sono biologiche, importanti e soprattutto necessarie per compensarci. Ugualmente quei pareri secondo i quali questa sarebbe una società ostile agli uomini e tutta a vantaggio della donne e a corredo di simili affermazioni si citano quote rosa in politica o nel mondo del lavoro, il vantaggio di mansioni comode e non pericolose, gli esiti favorevoli nelle cause di divorzio, le leggi “speciali” contro la violenza sulle donne.
Se si entrasse davvero nel merito delle questioni imputate, la realtà, purtroppo, è drammaticamente diversa, e certa legislazione mascherata di femminismo non sposta poi molto lo sbilanciamento di genere, che sussiste per motivi che sono strutturali e qualche provvedimento cosmetico non altera, ma certo, sistema le coscienze e dimostra la volontà di spianare la strada alle donne che accettano l’attuale società di mercato, che non è affatto neutra, ma ancora fortemente maschile, anche se non nei termini e nei modi usati da certe passionarie del femminismo neoliberale.
L’accusa, poi, letta recentemente, di essere sfaticate perché scegliamo sempre lavori poco impegnativi (tutto da vedere) e preferiamo il part-time, deriva dall’ottusa incapacità, o dalla volontà oltremodo perfida, di non vedere che quella è una scelta spesso obbligata, perché le sfaticate hanno ore e ore di lavoro di cura extra-lavorativo, non retribuito e non considerato, ma faticoso e sfinente dal punto di vista fisico e mentale. I figli, la casa, le scadenze, i genitori da accudire, spesso anche quelli del partner. Ore e ore di lavoro. Stare coi figli non significa “giocare e guardare cartoni animati”, significa tenere pulita la casa, i loro vestiti, fare la spesa, preparare i pasti e controllare alimentazione e salute, passare quarti d’ora a cercare di prendere la linea col pediatra per fare esami e visite, portarceli, far fare loro attività, andare a parlare con gli insegnanti. Accudire gli anziani di famiglia, significa far loro la spesa, portarli a fare compere, portarli a fare gli esami clinici, occuparsi delle loro pratiche burocratiche, arrivare a prenderseli in casa e fare loro da badanti finché si riesce, perché le strutture pubbliche sono insufficienti e inadeguate, e quelle private sono inavvicinabili per i costi.
La vita di una donna è dunque costellata di impegni ed attività, che le impongono limiti pressanti e insormontabili alla sua attività lavorativa e carriera professionale, che sono tutte ritagliate su tempi e modalità trasferite dal mondo maschile a quello femminile senza alcun adeguamento.
A proporne, salterebbe immediatamente fuori chi li taccerebbe di discriminazione nei confronti del genere maschile, senza che nessuno si sia mai veramente scomposto per il fatto che il genere maschile gode del lavoro di cura gratuito delle donne prestato oltre quello salariato, per cui l’accordo di reciprocità “io lavoro, tu stai a casa” è saltato da un pezzo. E tengo a precisare che pur avendone la disponibilità finanziaria, non tutto il lavoro domestico e di cura può essere trasferito alle colf, e resta sempre e comunque in carico alla famiglia, tipicamente alla donna.
Se è l’uomo a farsene carico (molto raro), questi si accorge subito che la sua performance professionale diventa decisamente meno brillante. Anche il tempo per studiare, informarsi, fare politica – ma guarda! – diventa improvvisamente pochissimo e insufficiente.
Restano irrisolvibili, se non forzando la natura con conseguenze inimmaginabili e imprevedibili, la questione della maternità e del periodo di cura neonatale, in cui il legame psicofisico è fortissimo, che sono in carico alla donna in modo esclusivo. La separazione è dannosa, oltre ad essere dolorosa, e va evitata il più possibile (disgrazie a parte, che non sono per fortuna la normalità).
Certo, una donna può scegliere di non essere madre, può scegliere di non avere una famiglia da accudire. E in quel caso in moltissime professioni può eguagliare l’uomo.
Ma è davvero una scelta che una donna può o vorrebbe mai fare? Si può decidere a 20 anni per i successivi 40? E poi, siamo sicuri che sia a costo zero? Perché se non fosse a costo zero, ma anzi, il costo fosse molto elevato, cosa di cui sono assolutamente convinta, sarebbe un’imposizione, una costrizione che la società attuale impone alla donna che voglia perseguire una professione e di cui stiamo volutamente ignorando la violenza e l’ingiustizia.
In questo quadro sociale così frustrante per il genere femminile, turba in modo particolare la presenza in ambienti comunisti di misogini mascherati da compagni. E’ disperante vedere nei pochi capisaldi rimasti, anche in ambienti di grande spessore intellettuale, emergere una reazione maschile alla questione femminile, condita ora di vittimismo esasperante e francamente fuori luogo, ora di frasi ad effetto come quella nell’incipit, che tenta sempre e comunque di rimettere la donna al “suo” posto, in questo caso in un sistema perfettamente anticapitalista, ma pur sempre di impronta maschile, dove alla donna sono garantiti diritti e te li fai bastare.
Ma non può bastare un sistema che assicura alle donne che possono abortire quando vogliono, come se non fosse un trauma fisico e psicologico! che possono divorziare facilmente o che possono partorire e tornarsene subito a lavorare in fabbrica perché tanto c’è l'asilo nido di Stato! Un sistema che dice che possono fare carriera ma, nei fatti, non è previsto un percorso diversificato che salvaguardi il loro diritto ad essere madre, con il tempo necessario alla cura neonatale (che va ben oltre i nove mesi concessi a stipendio ridotto, il cucciolo d’uomo è molto lento nella crescita), e donna, con i suoi numerosi disturbi dovuti alla complessità straordinaria del suo organismo, che ancora vengono etichettati come scuse, o peggio, come problemi mentali.
Le donne devono trasformarsi in uomini per avere successo nella loro professione, accreditamento nella società, rispetto.
Tutto ci impone di combattere la nostra natura, come se fosse un difetto di fabbrica!
E a conti fatti, in questa fabbrica sociale, è effettivamente un difetto, un ostacolo al compimento di una certa idea di mondo, figlio della logica produttivistica ed economicista (di cui anche certo comunismo è pregno), della visione parziale, cioè di parte e di genere, del sistema sociale ed economico.
Questo causa frustrazione, conflitti, recriminazioni reciproche, rancori, violenza e vendetta da entrambe le parti, una catena da cui è necessario uscire, ma per farlo è necessario cambiare il sistema in cui viviamo, crearne uno dove sia possibile ristabilire relazioni tra uomo e donna che siano collaborative, sussidiarie, fondate su valori fuori dalla cultura di mercato e liberate dai vincoli economici, che sempre più spesso imprigionano le coppie in relazioni tossiche per non trovarsi su una strada. Vanno create istituzioni e strutture dedicate all’assistenza, alla cura delle persone più fragili, un sistema che garantisca l’accudimento come bisogno imprescindibile della natura umana, in tutte le sue forme, private e pubbliche.
L’analisi da cui partire per costruire un paradigma nuovo, deve tenere in considerazione questo aspetto e operare una completa riclassificazione.
Le attività e le relazioni umane sono riconducibili a due macrosettori, quello della PRODUZIONE e quello della RIPRODUZIONE. Quest’ultima va intesa nella sua accezione più larga possibile, che inizia con la generazione di nuovi esseri umani – funzione fondamentale per la sopravvivenza della specie – ma include anche il prendersi cura della vita in genere, fisica e psicologica, la guarigione e la riabilitazione, l'educazione, la nutrizione, nonché la cura del pianeta e dell’ecosistema.
E’ un approccio femminile, ma non necessariamente riservato al genere femminile, o almeno, non interamente.
Oggi il focus economico e sociale è rivolto principalmente alla produzione, che è tipico del capitalismo ed è un approccio essenzialmente maschile.
Il settore della riproduzione è visto addirittura come antieconomico, quando invece è il fine ultimo dell'economia, intesa più correttamente come la gestione delle risorse e il coordinamento delle attività umane, comprese le forze produttive, per la sopravvivenza e il benessere della società. Pensiamo ai tagli alla sanità, alla scuola, all’assistenza socio-sanitaria territoriale e al danno che hanno prodotto.
La concentrazione massiva delle risorse umane e materiali verso la sola produzione, tra l’altro orientata al profitto, ci ha riempito di attività il cui unico scopo è il proprio ritorno finanziario e che quindi producono senza sosta una quantità impressionante di cose da immettere nel mercato globale - non importa se poco sane, poco utili o addirittura dannose, non importa se sono l’ennesima versione di un prodotto di cui ce ne sono almeno altre 100 nel mercato del tutto simili in funzionalità, aspetto e perfino prezzo. Queste vanno ad aumentare la massa dei rifiuti e l'inquinamento, sfruttano forza lavoro in modo insensato, impiegano materie prime e risorse alimentari che sono limitate, causando uno spreco intollerabile.
E’ evidente che il capitalismo non soddisfa i bisogni, non è quello il suo fine, e infatti restano inevasi, compresi quelli puramente materiali, di base perfino, figuriamoci quelli sociali e spirituali..
Un sistema fondato sul consumo è chiaramente antagonista di uno fondato sulla conservazione, sulla riproduzione, sulla cura. Oggi si butta via tutto quello che si guasta o invecchia, cose e persone. Molti finiti al margine sono scarti di cui la società non si occupa più.
Non che la produzione non sia importante, ma il Socialismo indica la necessità di un diverso modo di produzione, che risponde a precise indicazioni sul come, sul cosa e sul perché si produce.
Nel Socialismo la produzione va posta in relazione diretta con la riproduzione, che è il motivo per cui esiste.
Come va ad impattare nella questione femminile questo tipo di approccio?
Ridare dignità alla riproduzione, significa evitare di riferirsi al lavoro di cura e domestico come qualcosa che "toglie risorse alla produzione", ma diventa parte delle attività essenziali, che aggiungono valore, non lo sottraggono. E' nell'interesse della collettività che sia fatto bene e con responsabilità. Una volta si stigmatizzavano le donne che andavano a lavorare, adesso si fa con quelle che restano a casa. Come dare una possibilità di scelta vera? Il lavoro domestico come attività principale e la maternità devono essere retribuite con un salario di dignità direttamente dallo Stato, deve essere possibile stare a casa per dedicarsi alla cura familiare senza ridursi alla povertà o alla dipendenza dal partner. Le donne, o gli uomini, che decidono di stare a casa per seguire i figli, devono poter essere economicamente indipendenti. Fanno cose importanti, lavorano, ma fuori mercato. Ovviamente ci devono essere dei controlli, stare a casa non deve essere una scusa per non fare nulla, questo vale per le donne, come per gli uomini. Non è una via di fuga. Lavorare è un dovere etico, è il principio su cui si fonda una comunità. Si può lavorare meno, fare cose che hanno un senso, ma non si può non contribuire. C’è troppo lavoro da fare, bisogna dividerselo equamente. E in quell’equamente c’è l’abisso in cui è scivolata la condizione femminile negli ultimi anni, che ci vede costrette a lavorare per avere un reddito familiare sufficiente, per cui il carico di lavoro sulle spalle delle donne è molto più pesante.
Il lavoro non è una merce, il lavoro è un bene, una risorsa collettiva.
Va utilizzato per il benessere sociale e gli obiettivi d’interesse pubblico.
Il lavoro può essere nella produzione o nella riproduzione, perché devono esserci entrambi per sostenere la società e il livello minimo di dignità umana a cui dobbiamo aspirare, ed entrambi devono avere il giusto riconoscimento.
La questione femminile ha molto da portare alla discussione per l’abbattimento della logica capitalistica: una prospettiva sociale ed economica focalizzata sulla riproduzione anziché sulla sola produzione, scardina il sistema in modo più efficace e duraturo. E propone una evoluzione quanto mai necessaria ai partiti che volessero farsi portavoce di un Comunismo per il XXI, con obiettivi e valori pienamente condivisibili dall’altra metà della popolazione umana.
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